

C’è uno stretto legame fra il Beato
Cardinale Dusmet ed il popolo di
Nicolosi che in diverse occasioni, e
soprattutto durante i giorni di difficoltà e di dolore nel corso dell’eruzione
del 1886, ha avvertito forte il conforto della parola di santità del Cardinale
ed i benefici della Sua grande bontà e disponibilità. L’eruzione ebbe inizio
nella notte tra il 18 e il 19 maggio 1886 preceduta da un fortissimo terremoto
da una fenditura apertasi a dodici chilometri da Nicolosi . Le bocche erano due;
dalla prima fuoriuscivano gas, cenere, lapilli e grossi macigni che formarono il
monte Gemmellaro, così denominato in omaggio al celebre vulcanologo nativo di
Nicolosi; dall’altra sgorgava il magma a
forte velocità tanto che in 24 ore percorse due chilometri. Nello stesso giorno
19 Dusmet raggiunse Nicolosi dove gli abitanti lo attendevano numerosi; in
piazza venne allestita una capanna-cappella dove l’Arcivescovo celebrò la S.
Messa, la sera andò a pernottare a Pedara. E ogni giorno tornava a Nicolosi a
confortare con la sua parola i cittadini che incontrava e confessava seduto
sulla gradinata della Chiesa Madre. La sera del 23 maggio arriva in paese la
triste notizia che sulla colata già vicina al Monte San Leo avanzava rapidissimo
un nuovo torrente di lava. La notizia si propaga repentina e si diffonde
ovunque; la popolazione si riversa sulle strade agitata, costernatissima; corre
alle chiese e, levatene le statue dei Santi Protettori, le porta in processione
fino ai Tre Altarelli. Un giornalista, Bernardo Gentile-Cusa , che seguì tutta
l’eruzione e ne ha lasciato un’ampia cronaca, scrive di questo episodio:"
Vivessi mille anni io non potrò mai dimenticare quella lugubre scena. Centinaia
e centinaia di persone strette attorno ai simulacri si vedano al chiarore dei
ceri e delle fiaccole agitarsi in mezzo all’oscurità. Non si udivano grida o
schiamazzi, ma singhiozzi, pianto mal trattenuto, sommesso e commosso mormorio
di fervide preghiere; e a vedere tutto quel popolo in preda allo sgomento,
affranto dal dolore, colla disperazione sul volto, eppure così pieno di fede
nell’intervento di un essere supremo è scosso anche l’animo nostro e invidiamo a
quella gente semplice la fede che crede e non ragiona, quella fede che manca a
noi". La lava continuava a scendere e così nel pomeriggio del giorno seguente,
lunedì 24 maggio, l’Arcivescovo Dusmet tornò a Catania e trasportò egli stesso a
Nicolosi la Reliquia del Velo di S.Agata. Seguiamo il racconto di don Gaetano
Amadio che nel 1928 scrisse la completa biografia del Santo Cardinale: "Alle
porte del paese tutti gli abitanti stavano ad attendere. Quando il Sacro Velo
giunse e mons. Arcivescovo lo presentò al popolo, questi alzò alte grida
invocando aiuto dalla martire catanese. Prima che si formasse il pellegrinaggio,
monsignore rivolse queste parole: "Figli miei, in quest’ora solenne Nicolosi è
in preda allo spavento e al terrore. Vi esorto a pregare la nostra eroina
S.Agata . non temete! Ho tanta fiducia in S. Agata che Nicolosi sarà salvo.
Venite tutti ad accompagnare il taumaturgo Velo sul luogo
dell’eruzione e là genuflessi supplicheremo S.Agata per la
cessazione del fuoco e per la salvezza della patria". Il
corteo si improvvisò subito ordinato e commosso, con a capo Mons. Dusmet che
portava devotamente il S. Velo e si fermò a poca distanza dal torrente di lava,
lì dove ancora oggi la CAPPELLA VOTIVA (nella foto)segna il posto preciso; il
popolo cantò le litanie, poi Monsignore a voce alta recitò la seguente
preghiera: - O gloriosa Vergine e Martire S. Agata, genuflessi ai vostri piedi
vi supplichiamo di venire in nostro aiuto. Invocate dal cielo pietà verso di noi
minacciati da tanto flagello; stendete il vostro braccio, impedite che la lava
prolunghi il suo corso e fate che cessi l’eruzione che minaccia questo lembo
della vostra diocesi. O S. Agata prostrati ai vostri piedi, ci abbandoniamo come
deboli figli tra le braccia della più tenera tra le madri e da Voi aspettiamo la
liberazione da tanta sventura. - Per tre volte Monsignore benedisse col Sacro
Velo quel monte di fuoco e riconfermò la sua fiducia nel miracolo che domandava
a Dio in favore del suo popolo". Il pericolo non sembrava però diminuire;
l’Arcivescovo si stabilì definitivamente a
Nicolosi. Passava talvolta la
notte intera su una poltrona del casino dei civili, sostenendosi con una
semplice tazza di caffè, per essere sempre pronto alle richieste degli
sventurati. La mattina celebrava la Messa, confessava, prendeva conoscenza del
progresso della lava, veniva in soccorso di coloro che lasciavano le case,
trascinandosi dietro le masserizie, i vini, le botti ed anche porte e finestre.
Simile condotta teneva a Pedara quando si trovava lì o vi pernottava. Giovedì 27
maggio si aprì uno spiraglio di speranza: la salvezza dei Tre Altarelli. Anche
stavolta seguiamo il racconto di don Gaetano Amadio: " Si avverò un prodigio che
accese un raggio di speranza nel cuore di quelle disperate popolazioni. Già allo
spuntare del giorno il braccio diretto agli Altarelli aveva quasi raggiunto
l’oratorio. Una diramazione a fronte strettissimo, che partiva dal tronco
principale, lo minacciava direttamente ed ormai così da vicino che nessuno si
faceva illusione che l’investimento non fosse inevitabile ed imminente. Però
contro ogni previsione, il braccio di lava minacciante gli Altarelli, arrivato a
pochi metri di distanza da essi , rallentò ancora il suo cammino già poco veloce
, e crebbe di altezza quasi che si preparasse a superare la piccola prominenza
su cui è posto l’oratorio; poi, quando i presenti si aspettavano l’investimento,
fu visto partirsi dal fianco l’inizio di una diramazione laterale, che per le
condizioni altimetriche favorevoli cominciò a scorrere verso est, chiamandosi la
massa delle lave fluenti, la quale si diresse verso la valle di San Nicolò
l’Arena lasciando incolume del tutto l’oratorio; e fu realmente uno strano
effetto vedere la piccole mole di quel fabbricato risparmiato dalla enorme massa
di lava, che lo lambì senza annientarlo. A questo fatto il popolo anticipò i
suoi giudizi, allargò le sue speranze, ravvivò la sua fede, gridò al miracolo: -
La lava come non ha osato toccare le immagini dei Santi agli Altarelli, molto
meno toccherà le chiese di Nicolosi, piene ed adorne di quelle immagini. Per le
Chiese Nicolosi sarà salvo".E il giorno dopo, venerdì 28 maggio, i nicolositi
portarono ancora la statua di S. Antonio Abate davanti al fronte lavico, proprio
sul posto dove oggi sorge l’altarino votivo che segna il limite massimo
raggiunto dalla lava e dove ogni anno viene condotta la statua di S. Antonio in
occasione della festa. Il mattino del 30 maggio la situazione era ancora
peggiorata ed ormai nessuno si faceva illusioni sulla sorte di Nicolosi. Venne
così pubblicata l’ordinanza del Prefetto che fissava per le ore 12 del 31 maggio
lo sgombero del paese.
Diceva tale ordinanza:
" Il Prefetto della Provincia per evitare disastri che
sarebbero inevitabili qualora la lava invadendo il paese facesse scoppiare le
cisterne
o r d i n a
che alle ore 12 del giorno d’oggi l’abitato di Nicolosi sia
completamente sgombrato d’ogni persona. La truppa formerà un cordone attorno
all’abitato nel raggio di un chilometro. Quelli che non volessero sgombrare vi
saranno costretti con la forza.
Dalla pubblicazione della presente nessun estraneo al Comune
potrà entrare nell’abitato. L’ora indicata per lo sgombro sarà annunciata alla
popolazione a squillo di tromba e colle campane.
A Nicolosi 31 maggio 1886. Il Prefetto Millo".
E seguiamo la cronaca di Gentile-Cusa dello sgombero
del paese:
"Pubblicata l’ordinanza prefettizia a Nicolosi era tutto
squallore e tristezza. Poche case ancora abitate; le altre completamente vuote e
abbandonate, e lo manifestavano all’esterno perché prive di imposte, svaligiate,
senza parapetti ai balconi e alcune persino senza stipiti di pietra alle
apertura. In piazza si commentava con vivacità l’ordinanza prefettizia:
generalmente si giudicava come opportuna e saggia; c’era però chi la stimava
prematura e chi parendogli affatto ingiustificata minacciava di volergli
resistere. Alle 12 in punto il presidio militare di fanteria e reali
carabinieri, dato il segnale convenuto di uno squillo di tromba, percorrendo le
vie, diede inizio a sgomberare il paese. Le campane delle sei chiese di Nicolosi
davano anch’esse il triste annuncio che l’ora del doloroso distacco era suonata.
La popolazione, quantunque preparata a quel suono, fu vinta allora da un
irrefrenabile impeto di commozione e piangendo rifluì in piazza dove si
trovavano raccolti non solo gli abitanti di Nicolosi ma anche quelli di Pedara e
di altri paesi vicini. E là, dinnanzi ad un popolo soggiogato dalla solennità di
quel momento supremo di dolore, l’Arcivescovo rivolto alla folla pronunziò poche
ed opportune parole di rassegnazione e di conforto, invitando i fedeli a
lasciare ordinatamente il paese senza disperare dell’aiuto divino che, commosso
dalla fede del suo popolo, avrebbe potuto impedire ancora la distruzione del
paese.E poco dopo, ai rintocchi lugubri di tutte le campane , il triste corteo
si mise lentamente in movimento. Precedeva a piedi l’Arcivescovo col clero di
Nicolosi e Pedara; venivano dopo portate
a spalla le statue dei Santi, al trasporto delle quali aiutarono molto
volentieri i fedeli della vicina Pedara dove quelle statue si dovevano
trasportare. Chiudeva la processione un’onda immensa di popolo derelitto e
piangente, che lasciava dietro di sé ogni suo bene, tanto cumulo di affetti e di
memorie e si incamminava verso l’ignoto. A poco a poco la piazza già gremita da
più di tremila persone andò svuotandosi; a poco a poco andò anche affievolendosi
il mormorio della folla che si allontanava, tacquero le campane; poi d’intorno
fu tutto solitudine e silenzio. Nicolosi era completamente sgombro. Giunti a
Pedara l’instancabile mons. Dusmet non si ristette finchè non ebbe sistemati i
sacerdoti di
Nicolosi nella piccola abitazione di
Pedara e cinquecento poveri in diverse cade del medesimo comune. Altri trovarono
posto in altri paesi". Ma già al mattino di giovedì 3 giugno il braccio che
aveva superato i
Monti Rossi era praticamente fermo e la
scarsa attività dei crateri erano evidenti indizi che l’eruzione era finita.
L’agenzia Stefani annunziava il 3 giugno la fermata della lava che rimase
sospesa sul declivio soprastante
Nicolosi. Scrive il corrispondente : "A
soli 327 metri dalle prime case di Nicolosi s’arrestò la lava trattenuta dalla
mano di Dio, là dove puntualmente non poteva fermarsi, cioè rimanendo sospesa
sul pendio e declivio soprastante. Questo declivio è così ripido che io dovetti
stancarmi a giungere montando fino a quel punto. E si fermò proprio ad un tiro
di pietra dove si era pervenuti con la processione con il Velo di S. Agata e con
la statua di S. Antonio Abate ". Non essendosi dunque manifestata più alcuna
attività eruttiva fu ordinata la soppressione del cordone militare ed il ritorno
dei nicolositi, che si verificò alla spicciolata nei giorni 10, 11 e 12. Però fu
il 13 giugno, domenica di Pentecoste e giorno sacro al patrono del paese S.
Antonio di Padova, che ebbe luogo il ritorno ufficiale. La processione partì
alle 16.30 dalla Matrice di Pedara; l’Arcivescovo Dusmet fece a piedi tutta la
strada fino a giungere nella piazza di
Nicolosi. Qui si fecero schierare le
statue dei Santi dinnanzi alla Chiesa Madre e l’Arcivescovo, salito sulla
panchina del Casino dei Civili, predicò per venti minuti al popolo affollato e
silenzioso.
Nicolosi si mantenne sempre grata a Dusmet; il Consiglio
Comunale nella seduta dell’8 luglio lo ringraziava ufficialmente e subito dopo
la sua morte gli dedicava una strada. E in occasione di una cerimonia di
ringraziamento nella cattedrale di Catania il 7 luglio 1886 lo stesso Dusmet
annunziava a tutta la diocesi la sua volontà di erigere una cappella sul luogo
in cui era giunta la processione con il Velo di S. Agata e di sistemare i Tre
Altarelli. Ma il Cardinale non potè vedere realizzato questo suo desiderio; la
cappella sorse dopo la sua morte e fu inaugurata con un solenne pellegrinaggio
in occasione dell’anniversario il 24 maggio 1903.
Testo (fonte anonima)
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